E’ DIFFICILE DISCUTERE DEL FUTURO DELLA PSICHIATRIA in un momento, non so quanto storico oppure semplicemente personale, in cui il futuro di tutto sembra oscuro. Perchè mai il futuro della psichiatria dovrebbe essere fuori da questo cono d’ombra?
E’ invece necessario discutere di quali sembrano dei nodi importanti da sciogliere per potere delineare battaglie culturali e pratiche che sono possibili e necessarie nel prossimo futuro, per lo meno nel futuro dei piú giovani.
Diciamo subito che il Discorso Globale della Salute Mentale (la cosiddetta Global Mental Health) non ha determinato alcuna Trasformazione Locale. Si è limitato a trasformarsi in un ‘mantra’, per alcuni aspetti condivisibile e per altri non condivisibile, ma comunque solo un ‘mantra’ ripetuto senza alcun potere trasformativo.
Guardiamo piú da vicino alcuni elementi centrali della Global Mental Health. Primo, il cosiddetto Gap fra quanti hanno bisogno di cure e quanti realmente le ricevono, continua ad esistere e non è affatto diminuito.
Recenti studi nazionali in Cina e in India mostrano che piú dell’80% delle persone con un problema di salute mentale o di abuso di sostanze non richiede alcun trattamento. E quando il trattamento è richiesto la sua qualità è molto povera: lo studio World Mental Health Survey riporta che fra coloro che soffrono di Depressione Maggiore soltanto il 22,4%, l’11,4% e il 3,7%, rispettivamente nei paesi ad alto, medio e basso reddito, hanno ricevuto trattamenti minimamente adeguati11 Thornicroft G, Chatterji S, Evans-Lacko S, et al. Undertreatment of people with major depressive disorder in 21 countries. Br J Psychiatry. 2017; 210(2):119-124..
Infine, le violazioni dei diritti umani nelle istituzioni psichiatriche non sono sostanzialmente cambiate nel corso degli ultimi venti anni e continuano immutate nella maggirparte dei paesi del mondo con la eccezzione dei pochi paesi europei che hanno da anni intrapreso serie riforme dei sistemi di salute mentale e con la grande e notevole eccezione del Brasile prima dell’avvento devastatore del governo Bolsonaro.
Vi è probabilmente una sola mutazione positiva: se negli anni 70-90 i ministri chiedevano ‘ma perchè mai devo deistituzionalizzare’ oggi chiedono ‘come si fa’. Infatti molti paesi si sono resi conto che esiste la porta di ingresso del manicomio e non solo quella di uscita. Ossia, che i manicomi si combattono non solo facendo uscire le persone ma soprattutto non facendole piú entrare, cioè non alimentandone piú la esistenza stessa. La enfasi sulla chiusura progressiva della porta di ingresso risulta piú accettabile e gestibile piuttosto che la urgenza di accelerare la uscita dei pazienti. Una strategia piú centrata sulla limitazione degli ingressi piuttosto che sulla accelerazione delle dimissioni sembra rendere piú accettabile ai politici locali le politiche di deistituzionalizzazione.
In generale comunque dobbiamo dire che la realtà prevalente è quella dei sistemi paralleli (manicomio persistente e embrioni di servizi territoriali di salute mentale, come è il caso del Libano, di Panama o del Cile) anche se qualcuno chiude davvero (come è il caso della Repubblica Dominicana) o ci prova.
Connesso al tema del superamento del manicomio ecco dunque un primo nodo da sciogliere: il modello della ‘balanced care’ ossia un po’ di manicomio e un po’ di community mental health care, per non scontentare nessuno. Questo modello, ovviamente sposato da tutto l’establishment psichiatrico piú conservatore che si sente finalmente ammesso alla tavola degli scienziati anglosassoni, non peró dice mai dove debbano essere i letti ossia se il ‘balance’ fra letti e servizi territoriali si riferisce a letti in manicomio o a letti in ospedale generale; inoltre, il modello non dice mai se le risorse vanno divise equamente fra letti e non letti o se, come è nella maggior parte dei paesi del mondo, l’85% delle risorse siano spese per il mantenimento dei manicomi e il 15% sia devoluto a impiantare un sistema di psichiatria extraospedaliera. Ancora una volta a questo modello sbilanciato in favore degli investimenti e delle risorse in manicomio, ancora una volta fanno eccezione l’Italia e il Brasile ove (finchè il nefasto governo Bolosonaro lo permetterà) le risorse per la salute mentale comunitaria sono nettamente superiori a quelle per la psichiatria manicomiale.
Infine il modello della balanced care nulla dice dei diritti di coloro che nei letti ci stanno. Ossia non il modello della balanced care non dice nulla ma è divenuto simbolo di innovazione! In realtà il modello della balanced care dice solo: business as usual. Dunque, dobbiamo pensare a strategie critiche verso il modello della balanced care.
Ma un altro nodo importantissimo resta da sciogliere, e qui dispiace di dovere riconoscere delle responsabilità anche nella Organização Mundial da Saúde (OMS). Si tratta del modello/progetto di ‘Scaling Up’ ossia di sviluppo dei servizi di salute mentale soprattutto là dove essi non esistono. E’ un intento certamente lodevole ma promosso, soprattutto a partire dal 2010, in modo molto acritico e francamente irresponsabile. Cosa vuol dire ‘piú servizi’? Se non si dice di quali servizi si parla (manicomi, ospedali generali, servizi territoriali, teams comunitari?), cosa questi servizi debbano fare, come questi servizi debbano contribuire a aumentare il potere contrattuale e la cittadinanza dei loro utenti. Non basta dire che dove non ci sono servizi bisogna sviluppare servizi.
Un giorno, quando ero direttore alla OMS, partecipai in Uganda a una riunione di paesi africani in cui si discuteva proprio di Scaling Up e un grande leader del movimento degli utenti africani mi affrontó pubblicamente dicendo:
se per la OMS piú servizi significa aumentare la copertura offerta dai servizi che abbiamo oggi in Africa, manicomi miserabili e servizi inefficaci, allora preferiamo restare con quello che abbiamo perchè piú è piccolo piú sarà facile distruggerlo.
Aveva certamente ragione.
Cosa si vuole aumentare? Gli elettroshocks, i letti manicomiali, la disponibilità di psicofarmaci costosi con la benedizione di BigPharma?
Dunque, Scaling Up sí, ma a condizioni precise e ben definite per evitare che lo Scaling Up non si riduca alla esportazione di paccetti di interventi ispirati esclusivamente dal modello biomedico. Dunque, dobbiamo metter in atto strategie critiche dello Scaling Up quando esso sia promosso senza condizioni.
Infine, è urgente affrontare la questione dei micro determinanti sociali. ‘Social Determinants’ è divenuta una espressione di moda oggi e soprattutto riconoscerne l’influenza sulla salute mentale è diventato un ‘must’ del ‘politically correct’. La povertà, la guerra, le migrazioni forzate, i cambiamenti climatici, sono tutti determinanti sociali che, e chi mai potrebbe negarlo, hanno un impatto sulla salute mentale di individui e comunità. Ma, dicono troppo spesso gli operatori della psichiatria, noi cosa ci possiamo fare? Saremo noi a fermare povertà, guerre, carestie e altre calamità?
E cosí, assolti dalla vastità del problema, essi tornano alle pratiche di sempre: ‘business as usual’.
Ma se, e molti studi epidemiologici ce lo confermano, ad esempio, essere una donna di colore, in una periferia degli Stati Uniti, essere madre sola, povera, con due o piú figli di età inferiore ai quattordici anni, costituisce un fattore di rischio per una depressione severa centinaia di volte superiore al rischio per una donna che non sperimenti quelle stesse condizioni... se è cosí, cosa faranno i servizi psichiatrici locali? Visiteranno quella signora annunciandole la buona notizia: abbiamo a sua disposizione psichiatri che le prescriveranno antidepressivi, psicologi che le offriranno qualche colloquio, eccetera.
Purtroppo succede spesso proprio questo.
Ma noi sappiamo bene che quella donna dovrebbe potere disporre di un servizio di trasporto quotidiano che accompagni i bambini a scuola, di una fornitura mensile di frutta e legumi gratuiti, di una contributo economico che la aiuti a pagare le spese fisse, di un sostegno settimanale in un centro per donne che possono incontrarsi e e sostenersi a vicenda. Lo sappiamo e sappiamo anche che tutto questo non comporta un macro intervento sui macro determinanti sociali ma di un micro intervento sui micro determinanti sociali.
Dunque, smettiamola di considerare legittimo Non rispondere ai determinanti sociali. Si puó e si deve. E il modello Housing First ce lo insegna chiaramente: prima la casa e poi il trattamento è certamente meglio che prima il trattamento e poi, forse, la casa.
Concludo con una ultima riflessione sul movimento di Global Mental Health, di cui faccio in qualche modo parte essendo stato uno dei commissari della Lancet Commission sulla Global Mental Health22 Patel V, Saxena S, Lund C, et al. The Lancet Commission on global mental health and sustainable development. The Lancet. 2018 [acesso em 2020 set 9]; 392(10157). Disponível em: https://www.thelancet.com/commissions/global-mental-health.
https://www.thelancet.com/commissions/gl... ,33 Saraceno B. Rethinking Global Mental Health and its priorities. Epidemiology and Psychiatric Sciences. [internet]. 2020 [acesso em 2020 fev 4]; 29,E64. Disponível em: https://www.cambridge.org/core/journals/epidemiology-and-psychiatric-sciences/article/rethinking-global-mental-health-and-its-priorities/90B78861CCC6CF4510E62F2AF5392018/core-reader.
https://www.cambridge.org/core/journals/... .
È la Global Mental Health davvero global o non è piuttosto un centro di potere coloniale occidentale basato in pochi centri accademici anglosassoni?
E’ il discorso della Global Mental Health massicciamente sbilanciato verso la promozione di modelli biomedici?
E’ la Global Mental Health davvero interessata ad agire sui determinanti sociali o si limita a riprodurre interventi clinici di migliore qualità?
Quale è l’impatto reale (se ve ne è alcuno) del discorso della Global Mental Health sui paesi a basso reddito?
Quali sono le conseguenze sui diritti delle persone con malattie mentali gravi della enfasi esclusiva data dalla Global Mental Health verso i cosiddetti ‘common mental disorders’ e verso la Primary Health Care? In altre parole, ancora una volta si intravede il rischio che i malati mentali gravi costretti nelle istituzioni siano, ancora una volta, dimenticati.
Penso che queste cinque domande sottendano non soltanto una critica alla Global Mental Health ma suggeriscano anche qualche pista di nuove riflessioni e azioni virtuose che possono e devono interessare anche il Brasile.
- Supporto finanziario: nessuno
References
- 1Thornicroft G, Chatterji S, Evans-Lacko S, et al. Undertreatment of people with major depressive disorder in 21 countries. Br J Psychiatry. 2017; 210(2):119-124.
- 2Patel V, Saxena S, Lund C, et al. The Lancet Commission on global mental health and sustainable development. The Lancet. 2018 [acesso em 2020 set 9]; 392(10157). Disponível em: https://www.thelancet.com/commissions/global-mental-health
» https://www.thelancet.com/commissions/global-mental-health - 3Saraceno B. Rethinking Global Mental Health and its priorities. Epidemiology and Psychiatric Sciences. [internet]. 2020 [acesso em 2020 fev 4]; 29,E64. Disponível em: https://www.cambridge.org/core/journals/epidemiology-and-psychiatric-sciences/article/rethinking-global-mental-health-and-its-priorities/90B78861CCC6CF4510E62F2AF5392018/core-reader
» https://www.cambridge.org/core/journals/epidemiology-and-psychiatric-sciences/article/rethinking-global-mental-health-and-its-priorities/90B78861CCC6CF4510E62F2AF5392018/core-reader
Publication Dates
- Publication in this collection
13 Aug 2021 - Date of issue
Oct 2020
History
- Received
05 Feb 2020 - Accepted
14 May 2020